Mojito e rum. Rum e Cuba. Cuba e Havana Club.
A quanto pare, costruire catene semantiche riesce benino a questi cubani.
Ultimamente, poi, Havana Club sta proponendo idee interessantissime in ottica marketing ed advertising.
Mentre si accinge a spedire un fortunato giovane – dopo mesi di selezioni – per un anno intorno al mondo, a sperimentare 12 lavori differenti e caratteristici di ogni tappa (Havana Club 365, per i curiosi), lancia l’idea Mojito Embassy.
A primo impatto, ammettiamolo, sembra un’idea sbronza e nulla più. Comunque, vista la location – Roma – ed il periodo – sì, è estate, nonostante gli esami da fare ed i libri da studiare – decido di dare un’occhiatina.
Risultato? Pensavo fosse un tipico touch-point in stile “vieni-bevi-ciao” e, invece, mi si apre un mondo.
Havana Club, infatti, con un’iniziativa più complessa di quanto pensassi dopo una prima e fugace occhiata, prende due piccioni con una fava: rafforza la sua identità territoriale, con tutti i vantaggi di sorta, e chiama all’azione il cliente/visitatore, proponendo una vera e propria esperienza di marca.
Andiamo al sodo: Mojito Embassy è un evento che avrà luogo a Roma, nello storico quartiere Testaccio, dal 13 al 20 luglio.
L’offerta non si limita ad un assaggio di mojito “d.o.c.”: troppo facile. Nella Mojito Embassy gli ingredienti li scegli tu, nel mercato stile-Cuba che Havana Club costruisce su misura. Scegli, compra, segui le istruzioni. E poi bevi, ovvio.
Nel mentre, il programma prevede performance dal vivo di artisti cubani, lezioni di balli latini e, in chiusura, dj set. Che in questo contesto, ad occhio e croce, fa molto glocal marketing. Ma questa è un’altra storia.
Due binari, quindi. Partiamo dal più facile: l’identità nazionale.
Il legame con il luogo di nascita è parte della core identity del brand, per dirla alla Aaker.
Insistervi, attraverso eventi di questo tipo, significa confermare e dare solidità all’identità stessa.
Con un occhio al contesto, tra l’altro. È inutile girarci intorno: il rum sarà anche tipico dell’America Centrale ma, a livello percettivo, l’associazione con Cuba è forse quella più immediata.
I brand italiani, nella pasta, godranno sempre di un pregiudizio positivo. Idem per i rum cubani.
Identità e funzionalità, strategia ed operatività. Semplice.
Dopo le buone intenzioni, il “cosa comunicare”, poi, c’è il “come”: come comunicare questo valore (o questa associazione, più che altro)? E, visto che ci siamo, come ingaggiare il cliente, generando fidelizzazione e, magari, un vero e proprio commitment?
Banale sottolinearlo, ma Havana Club punta sul marketing esperienziale. A giudicare dalle premesse, peraltro, lo fa molto bene.
Gradino per gradino, ripercorre tutti i passi dell’experiential marketing previsti da Schmitt:
• sense: musica, colori, sapori. Havana Club promette di portare un angolo della capitale cubana nella sua omologa italiana.
• feel: fare la spesa in un “autentico” mercato de L’Avana, per dirne una. Così, su due piedi, penso abbia il potenziale giusto per suscitare emozioni.
• think: scoprire come realizzare un vero mojito, imparare balli latini, apprendere cose nuove su Cuba, sul brand e sul rum. Gli stimoli mentali promettono di esser presenti.
• act: vedi il punto precedente e mettilo in pratica. L’esperienza di marca passa anche dall’azione.
• relate: è l’ultimo tassello. Non bere da solo, non ballare per conto tuo. Il brand si fa ambiente e stimola la relazione tra i suoi consumatori, mettendoli in connessione.
Un post, una news, un esercizietto di stile alcolico ed esotico, fate voi. Una scusa per passare una serata in allegria e spacciarla per un case study, ad ogni modo. Quasi quasi…
Daniele Vincenzoni